Il calcestruzzo è un materiale straordinario.
Si produce utilizzando materie prime disponibile ovunque, è completamente riciclabile, assume qualsiasi forma, grazie all’acciaio è in grado di acquisire l’unica proprietà in cui è debole, la resistenza a trazione, costa poco, resiste meglio di altri materiali a molte azioni esterne, come per esempio al fuoco e all’aggressione ambientale, assorbe CO2, può essere drenante, può essere autoriparante, può essere impermeabile, per alcune tipologie di opere è insostituibile, è stato addirittura utilizzato per costruire delle navi … però …ha però un problema, un problema davvero importante.
Il problema del calcestruzzo non è la carbonatazione
Il problema non la carbonatazione, ne la resistenza ai cloruri, ne quella al gelo disgelo, ne quella all’abrasione, ne quella agli urti … a tutti questi problemi ci sono consolidate e affidabili soluzioni tecniche.
Il problema sta nel fatto che … è troppo facile, anzi, apparentemente troppo facile da produrre e mettere in opera.
Sull’aggettivo apparentemente ci torneremo presto. Per il momento concentriamoci sul “Facile”.
Il calcestruzzo: un prodotto “facile” da produrre
Facile da produrre, perchè in Italia per farlo è sufficiente avere un impianto di stoccaggio e dosaggio, non serve infatti il mescolatore come in quasi tutti i Paesi civilizzati, qualche dispositivo ambientale, un bollettario, un cellulare, una licenza e qualche permesso. Questa facilità ha portato negli anni del boom dell’edilizia alla nascita di un numero elevatissimo di aziende e impianti.
Nel 2001 il rapporto ATECAP (il primo rapporto del settore, nato su iniziativa di Sandro Polidori, allora presidente della Commissione Economia e Mercato, e del sottoscritto che faceva il giovane direttore pro-tempore) in Italia operavano quasi 2.500 impianti, ma erano solo 3 le aziende con più di 50 impianti: il 96% delle aziende aveva uno o due impianti. In quegli anni si valutava quindi una produzione di circa 26.000 metri cubi/annui per impianto. Circa il 90% degli impianti era orizzontale, ovvero il sistema più lento ma che richiede un minore capitale di investimento iniziale, e solo il 40% degli impianti era automatizzato. Un dato, quello del calcestruzzo prodotto, che è cresciuto fino al 2006/7 quando si sono sfiorati gli 80 milioni di metri cubi, e con essi sono cresciuti anche il numero di impianti. Ricordo che in quegli anni vi erano città come Bologna o Brescia in cui dove ti giravi vedevi impianti di betonaggio che producevano e pompe che gettavano.
Arriva la crisi: crolla la produzione di calcestruzzo, ma non il numero di impianti di betonaggio
Con la crisi i metri cubi di calcestruzzo prodotti in Italia sono crollati di oltre il 60%, ma il numero di impianti è calato di una percentuale inferiore. Al momento si valuta siano ancora attivi circa 2.000 impianti e si sia arrivati a una produzione annua/impianto di 12/13.000 metri cubi di calcestruzzo.
Perchè ? perchè il calcestruzzo è apparentemente facile da produrre: calano i volumi, allora si elimina il personale tecnico, di esternalizza il trasporto, si riduce la manutenzione, si comprano materiali più scadenti, si bollano qualche metri cubi di calcestruzzo in più (tanto i controlli alla pesa sono pochi) … e si sopravvive. E questo è possibile solo un fatto: perchè la percezione comune di tutti, non solo di molti produttori di calcestruzzo, ma anche di una percentuale sconcertante di professionisti, imprese e committenti è che il calcestruzzo sia facile da produrre.
Poca selezione dei fornitori, pochi controlli
Allora la variabile principale di scelta diventa il prezzo, anni lo sconto.
Chissenefrega se le sonde dell’impianto non sono tarate, se l’autobetoniera è di un padroncino che non fa manutenzione alle pale (quelle che teoricamente dovrebbero mescolare il calcestruzzo in assenza di un mescolatore), se le materie prime non vengono selezionate e controllate, se la prestazione attesa è frutto di una ricetta del 2007, se l’azienda non ha un tecnico preparato per la qualifica e controlli del calcestruzzo.
L’importante è che il calcestruzzo costi poco. Tanto poi i controlli tornano sempre, chissà perchè, tanto il direttore dei lavori non sta mai in cantiere. E poi il fornitore ha l’FPC !!!
Questo è il clima che ha favorito la cultura del calcestruzzo depotenziato, termine che piace tanto ai giornali, che nel sud italia ha portato all’infiltrazione della criminalità organizzata, che ha privilegiato chi non investe e penalizzato chi crede nella correttezza e nella qualità.
FPC, un costo inutile per il settore, una certificazione che non fa selezione
Volete sapere quanti impianti operano in Italia ? Basta andare su http://sicurnet2.cslp.it/Sicurnet2/Certificato e si trovano tutti gli impianti operativi. Infatti è previsto per legge che un impianto di betonaggio deve avere l’FPC. Ma non è purtroppo così.
Innanzitutto che cosa è l’FPC: è la certificazione del controllo di fabbrica dell’impianto, e prevede alcuni requisiti minimi, tra cui che l’impianto sia automatizzato.
Progetto nobile purtroppo naufragato per una serie di motivi. Primo fra tutti il fatto di aver concesso l’abilitazione a troppi organismi. Prima dell’FPC si occupavano con serietà e continuità dell’argomento cemento e calcestruzzo due organismi: ICMQ e Certiquality.
Poi è arrivato l’FPC e gli organismi sono diventati tanti, più di venti. Era nata non l’esigenza di fare qualità ma di fare business. Con INCONCRETO facemmo un’indagine per capire come alcuni di questi organismi certificati fossero organizzati. Alcuni mi risposero: “ma abbiamo affidato questo business a un consulente esterno, dovrebbe passare nei prossimi giorni …”.
Il fatto che la certificazione del FPC non abbia fatto selezione è dimostrato dal fatto che tutti gli impianti che operavano prima del giorno di scadenza dell’obbligo hanno continuato ad operare anche il giorno dopo: o c’era stato il miracolo e tutti gli impianti erano stati adeguati e tutte le organizzazione messe in regola … oppure i controlli non hanno funzionato. D’altronde la certificazione la paga chi la sostiene, quindi è stato facile per qualcuno questa certificazione comprarsela.
E così ci troviamo impianti certificati non automatizzati, non controllati e … purtroppo spesso che forniscono il caclestrezzo senza nemmeno avere più l’FPC. E sì, perchè con la crisi si è risparmiato anche su questo. Va peraltro evidenziato che l’autorizzazione ha una durata di cinque anni ma il certificato, non riporta la data di scadenza. Abbiamo messo un limite di velocità ma poi non abbiamo attivato i tutor.
L’incoscienza di Committenti e Professionisti
Quello che non si rende conto il direttore lavori, il collaudatore e il committente è il pericolo che corre da questa situazione. La responsabilità sulle opere non scade dopo 28 giorni, ma può durare 10, 50 o 100 anni.
Partiamo da un principio: Il controllo di accettazione così come previsto per legge è affidabile solo se chi produce rispetta la legge e quindi opera con impianti automatizzati, tarati, controllati e con un produzione controllata con ricette costantemente aggiornate.
Se questo non avviene il controllo di due cubetti ogni metro cubo di calcestruzzo (inserito nelle norme sulla base delle ipotesi precedenti) non è sufficiente.
In opera può andare davvero di tutto, e se un domani quell’opera dovesse crollare, avere un problema strutturale importante la Direzione Lavori sarà la prima a doverne rispondere.
Ecco perchè occorre far nascere nell’ambito delle committenze e delle Direzioni Lavori una nuova consapevolezza: che prima di controllare il calcestruzzo in cantiere sia necessario qualificare l’impianto, sempre. Ne va della sua sicurezza, del suo futuro, legato indissolubilmente con il destino dell’opera.
Più controlli, un passaggio necessario per riqualificare il settore
Se ci fossero questi controlli sopravviverebbe oggi un 40/50% degli impianti esistenti. E sarebbero le imprese e gli impianti migliori.
Perchè nella filiera del calcestruzzo c’è chi ha continuato a credere, a investire sulla propria organizzazione, a mantenere sistemi di controllo della produzione efficace, a manutenere impianti di produzione moderni ed efficienti.
Ci sono aziende che hanno digitalizzato la propstia organizzazione e processi, che hanno investito in salvaguardia dell’ambiente, in ricerca e quindi sono in grado di produrre in modo corretto calcestruzzi autocompattanti, fibroarmati, autoriparanti, impermeabili, … insomma il calcestruzzo giusto per la spacifica esigenza costruttiva e progettuale.
Ma tutto questo costa e fino ad oggi il loro investire è stato penalizzato dal mercato senza regole e controlli.
Se i controlli fossero seri, se le prescrizioni fossere corrette e tecnicamente aggiornate, tutto ciò porterebbe a ridurre quindi il numero di impianti e, quindi, a una produzione media vicina ai 30.000 mc/annui, con la possibilità quindi di poter fare gli investimenti per la manutenzione degli impianti, la taratura delle celle, i controlli della produzione, l’aggiornamento delle ricette e … forse tornare anche a guadagnare.
Sarebbe il primo passo per poter portare questo settore ad adottare – non solo su richiesta di pochi clienti – il mescolatore in tutti gli impianti produttivi, sicuramente un passaggio che favorirebbe la selezione dei produttori e la garanzia sulla qualità del prodotto.
Chi progetta deve conoscere i materiali e i processi produttivi
Al tempo stesso, se chi fa la prescrizione acquisisse maggiore conoscenza sull’evoluzione del calcestruzzo oggi avremmo sempre più spesso calcestruzzi autoriparanti, impermeabili, resistenti agli agenti aggressivi, pavimentazioni senza giunti, infrastrutture sicure con minori costi di manutenzione … un’edilizia più sana e moderna.
Certo dovrebbe tornare ad interessarsi di una materia che tanto ha affascinato la scuola di ingegneria e architettura italiana nei decenni scorsi: la tecnologia dei materiali, oggi purtroppo fuori moda in quanto ormai tutti presi dalla illusione che basti un software per fare un buon progetto.
La conoscenza dei materiali porterebbe poi a una prescrizione più completa, non più basata solo sulla classe di resistenza, consistenza e durabilità. L’incontro tra imprese, progettisti e fornitori e l’analisi degli obiettivi e delle caratteristiche del cantiere porterebbe a prescrizioni evolute, che sfruttano appieno l’innovazione tecnica e tecnologica del settore.
E le opere avrebbero calcestruzzi migliori di quelli che oggi spesso hanno, perchè vedere infrastrutture ed edifici con meno di 10 anni che mostrano già gli effetti della carbonatazione rappresenta uno scandalo i cui artefici sono molti, forse troppi.
Vorrei ricordare un’esperienza virtuosa che cambiò per un certo tempo il settore: i cantieri dell’alta velocità.
In quel caso una progettazione e direzione lavori davvero attenta ed evoluta, Italferr, insegnò a tutti cosa significa qualificare le cave, i fornitori, gli impianti, i mezzi di trasporto, le ricette ed eseguire un controllo reale. Da quella esperienza il settore uscì cresciuto in mentalità e qualità, si formarono molti tecnici, e si ottennero opere che oggi possiamo ancora ammirare. Poi è arrivata la crisi, e ci siamo dimenticati molti di quei valori.
Conclusioni
La qualità nasce dalla selezione. Se non c’è selezione, chi investe in qualità, purtroppo spesso perde. Non è questo il valore che vogliamo vinca nel nostro amato e trascurato Paese.
[Fonte: www.inconcreto.net]